Giovani pagati poco: una consapevolezza che sta emergendo.
Introduzione
In questo articolo mi permetterò di esprimere alcune considerazioni che riguardano in un certo senso l’intersezione tra il mondo del lavoro e la nostra economia. Penso che sia molto importante il fatto che debba esserci una sorta di interdisciplinarietà quando parliamo di qualcosa.
Non voglio quindi trasformare questo sito in un catalogo di definizioni. Certo, quelle continueremo a fornirle perché abbiamo bisogno di strumenti con basi scientifiche per sviluppare le nostre argomentazioni. Ma sapere delle definizioni senza riuscire a strutturare un pensiero critico usando la logica e le nozioni che abbiamo appreso, rimane una cultura fine a sé stessa che non apporta nessun effetto sulle nostre vite.
Ebbene, parlare di lavoro ed economia vuol dire parlare di psicologia sociale. Proprio perché essi sono densi di dinamiche sociali e psicologiche, che è mia premura farvi riconoscere. La psicologia non deve fermarsi a fornire conoscenza, ma soprattutto consapevolezza orientata all’emancipazione personale e sociale.
Excursus storico
Nell’ultimo periodo sta sempre più emergendo la consapevolezza da parte dei giovani che, sostanzialmente, c’è una forte disparità riguardo le loro retribuzioni.
Si sente molto spesso parlare di giovani che fanno fatica a pagarsi l’affitto con uno stage a 600€ (e vedi pure). E’ emersa anche, finalmente, la consapevolezza che gli affitti a Milano sono diventati insostenibili. Quindi, bello andare nella città del futuro, ma se non ci puoi vivere che futuro ti costruisci?
Ma come si è arrivati a questo punto? Facciamo un breve excursus degli ultimi 30 anni. Negli anni ‘90 un sommo profeta introdusse un periodo estremamente facoltoso con la celeberrima frase “l’Italia è il paese che amo”. Ebbene, questo profeta l’ha amata talmente tanto da infondere nei boomers una grande fiducia verso il futuro.
Egli disse:
Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno: quello di un’Italia più giusta, più generosa verso chi ha bisogno più prospera e serena, più moderna ed efficiente protagonista in Europa e nel mondo.
Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano.
Il miracolo di cui parla è durato relativamente poco: ha sicuramente giovato i suoi coetanei, ma non i loro figli e nipoti.
Giovani pagati poco: alimentare un sogno
Di fatto, a quell’epoca, negli anni duemila, veniva chiesto ai ragazzi “cosa vuoi fare da grande?”, “qual è il lavoro dei tuoi sogni?”, e quei bambini, super fiduciosi, rispondevano “il calciatore, il medico, l’ingegnere”. Tutti felici e contenti che avrebbero raggiunto i loro traguardi vivendo una vita più prospera rispetto ai propri genitori che hanno faticato molto di più.
Tutti i genitori hanno trasmesso ai propri figli la promessa di un futuro migliore del loro. Ma poi cosa è successo?
E’ arrivata la crisi del 2008, la crisi del debito del 2012, negli anni successivi il PIL cresceva poco, scarsa produttività, e poi c’è stata la pandemia del 2020.
Insomma, è successo tutto il contrario che i profeti del ‘90 avevano previsto. Come dice Miguel Benasayag, il futuro è diventato una minaccia. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi i giovani non riescono ad emanciparsi.
Giovani pagati poco: l'interpretazione dalla psicologia sociale
Dove interviene la psicologia sociale? Innanzitutto, partiamo da un principio basilare: le aziende, per fare profitto, hanno bisogno di abbassare i costi fissi, tra cui i costi delle retribuzioni. I giovani, con la scusa che hanno poca esperienza, vengono pagati meno. Questa tecnica è usata soprattutto in Italia, tant’è che molti giovani sono costretti ad emigrare all’estero per trovare una retribuzione dignitosa.
I giovani italiani, quindi, sono inseriti nella narrazione del tipo “il successo deriva solo dal duro lavoro!”. Insomma, se oggi lavori intensamente e ti fai pagare poco, ti prometto che un giorno diventerai manager e capo del super succhia reparto di non si sa che cosa. I giovani, purtroppo, ci credono, perché questa narrazione è la stessa che hanno ereditato dai loro genitori, che a loro volta l’hanno ereditata a reti unificate dal profeta di cui abbiamo parlato prima. E’ la stessa narrazione con la quale hanno mosso i primi passi e che hanno sentito nella culla al posto delle ninna nanne.
In questo modo si è costruita una rappresentazione sociale mascherata da sogno e promessa di successo. Questa rappresentazione, diffusa nella maggior parte della popolazione, ha alimentato la norma sociale del lavoro straordinario a basso costo che ha sua volta ha generato una forza di conformismo al sacrificio di sé e del proprio tempo. Si può aggiungere inoltre che è stato fortemente spinto il sacrificio al lavoro come valore sociale.

Competitività
Un altro precursore di questa rappresentazione sociale è Matteo Renzi il quale nel 2016 affermava “Venite in Italia, i nostri ingegneri sono bravissimi e costano molto meno che altrove” (fonte la Repubblica), e successivamente in Arabia Saudita ha espresso la sua invidia al dittatore saudita Bin-Salman per “il basso costo del lavoro a Riad”.
Chiaramente, l’obiettivo del senatore semplice di Rignano a capo di quel Partito Democratico era quello di abbassare il costo del lavoro così da riuscire ad attrarre in Italia investimenti stranieri. Se da un lato può sembrare una sfida apprezzabile, viste le alte tasse che si pagano sul lavoro, l’effetto di questa politica è stato un disastro per il potere d’acquisto della popolazione italiana. Perché, di fatto, ciò che è realmente diminuita è la retribuzione netta dei lavoratori. Il risultato è che oggi parliamo di paghe da fame.
Giovani e manager
Queste dinamiche hanno aumentato la forbice retributiva tra i giovani e manager, il che implica un atteggiamento di sudditanza psicologica da parte dei primi verso i secondi. I manager che godono di una retribuzione accettabile sono nella posizione di predicatori di norme sociali e di comportamento, vengono visti come dei leader carismatici; professano ricette preconfezionate ai giovani per raggiungere il successo: “bisogna fare dei sacrifici”. I giovani, quelli illusi, assorbono questo atteggiamento e ne parlano come se fosse normale. Quindi, anche tra giovani si dice che “quello è l’unico modo per fare carriera”.
Questo racconto può diventare pericoloso per i giovani pagati poco che devono costruirsi un futuro interamente con le proprie forze. Infatti, coloro che non godono di un “ammortizzatore” tipo genitori o nonni, sono i più propensi ad ammalarsi di depressione e burnout nel caso in cui non riuscissero ad assolvere le aspettative sociali.
Infatti, ai giovani pagati poco viene chiesto di lavorare gratis e costruire una famiglia, di essere ambiziosi con stipendi bassi, di avere voglia di lavorare rinunciando al proprio tempo libero.
Ricapitolando...
Ricapitolando, la realtà economica è che la produttività aumenta se diminuiscono i costi fissi. Il costo fisso più pesante è la retribuzione, quindi l’idea di molti imprenditori è assumere giovani, senza esperienza ma con molta energia e pagarli poco.
Affinché questo obiettivo possa realizzarsi, la politica ha costruito la rappresentazione sociale del “metodo infallibile per raggiungere il successo”. Il successo, a livello psicologico, fornisce prestigio e quindi inclusione sociale, per cui è molto appetibile rispetto agli istinti primordiali umani. L’inclusione sociale data dal prestigio garantisce la possibilità di appartenere a un gruppo facoltoso e di conservare lo status sociale, il che fornisce sicurezza e stabilità, condizioni essenziali per mettere su famiglia e quindi mandare avanti la specie.
La rappresentazione sociale viene sostenuta dai simboli, ovvero esempi di giovani di successo che vengono decantati sui più prestigiosi giornali. Tali informazioni vengono pompate continuamente fino a far sì che quei concetti diventino norma sociale. Gli esempi si diffondono nella psiche collettiva, creando suggestione, colpendo direttamente le emozioni. Non c’è razionalità nella gestione di queste informazioni. In questo modo si crea una normalità per cui chi non aderisce rimane fuori, viene additato come un “giovane che non ha voglia di lavorare”.
Gli effetti derivanti dell’esclusione sociale sono: calo dell’autostima, diminuzione del senso di autoefficacia, insorgenza di sindrome di burnout e depressione, e nei casi più gravi, come troppo spesso sta capitando, si arriva al suicidio.
Conclusione
La buona notizia è che i giovani si stanno lentamente svegliando, si rendono conto delle dinamiche perverse che si celano dietro la loro condizione precaria. Mi permetto di fare un appello ai giovani di oggi e quelli di domani:
“Non smettete di cercare il meglio per voi, non smettete di chiedere il giusto, non smettete di chiedere quello che vi spetta di diritto. L’età non può e non deve essere una motivazione per cui essere costretti a vivere peggio di altri. Tutti gli esseri umani hanno il diritto di emanciparsi e di non dipendere da nessuno, non dovete sottomettervi alla volontà altrui. Costruite sempre le condizioni affinché il vostro vero essere non debba essere messo da parte per aderire a norme non vostre.”
Ai meno giovani dico che la vostra esperienza è importante, ha un valore, ma in ogni caso non potete essere superiori ai giovani. I giovani hanno bisogno di essere guidati, di apprendere, di fare esperienza, di sbagliare. Voi dovete accompagnarli, aiutarli a rialzarsi finché non saranno in grado di camminare da soli. Smettete di essere egoisti e di alimentare il vostro ego. Dovete stare dietro di loro e non davanti. Fate un passo di lato e lasciateli passare. Non chiedete sempre di più, ma chiedete che sia dato a loro ciò che serve a fare lo stesso che avete fatto voi.