Il profitto è la grandezza più concreta del processo capitalistico di cui il plusvalore è la componente fondamentale.
In questo articolo parleremo di come si genera il profitto partendo dalla composizione del capitale.
Capitale costante e capitale variabile
Il valore finale della merce prodotta si compone di tre componenti:
- Capitale costante c, è la porzione di valore dei mezzi di produzione che viene trasferito alla merce nel processo di produzione;
- Capitale variabile v, è la porzione di valore data al lavoratore per una parte del tempo di produzione della merce;
- Plusvalore pv, è la porzione di valore che il lavoratore trasferisce gratuitamente alla merce per il tempo residuo della sua produzione.
Allora, da queste tre definizioni possiamo dedurre che il costo della merce per il capitalista si compone delle prime due componenti: capitale costante e capitale variabile.
Capitale fisso e capitale circolante
Infatti, bisogna distinguere la differenza tra capitale fisso e capitale circolante, che è un modo diverso di descrivere la somma tra capitale costante e variabile. Il capitale fisso sono i mezzi di produzione e lo stabilimento/ufficio. Il capitale circolante si compone di materie prime più capitale umano.
Il prezzo finale della merce dipende dal capitale costante
Quindi possiamo fare una osservazione. A parità di tempo di produzione, il prezzo finale della merce varia solo se varia il costo del capitale costante. Infatti, questo non accade se varia il capitale variabile, perché la somma tra costo del lavoro e plusvalore si mantiene costante a parità di tempo (sono inversamente proporzionali). D’altronde l’unico caso in cui potrebbe verificarsi che il costo della merce varia a causa del capitale variabile è se questo aumenta così tanto da rendere minimo o nullo il plusvalore. Ma questo caso è un assurdo logico, in quanto va contro la logica della concorrenza e del profitto stesso.
Inoltre, si osserva anche che i mezzi di produzione trasferiscono alla singola merce, solo una parte del loro valore, tramite il loro logoramento. Allora, se ho uno strumento che ho pagato 1000€ e nel processo si trasferiscono 5€ al prodotto finale, il valore dello strumento passerà da 1000€ a 995€.

Il profitto come plusvalore per l'imprenditore
Quindi, si può dire molto banalmente che dal punto di vista del capitalista, il profitto è la differenza tra il prezzo di vendita della merce e il costo necessario per produrla.
Perché si parla di punto di vista del capitalista? Fino ad oggi, quando abbiamo parlato di plusvalore, ci siamo messi nei panni del lavoratore. Se si osserva il profitto dal punto di vista matematico, è abbastanza evidente che esso equivale al plusvalore, ma la loro definizione parte appunto da due punti di vista diversi.
Infatti, il plusvalore è il valore in eccesso prodotto durante la giornata lavorativa, valore che non viene pagato al lavoratore, valore che nasce dal consumo di forza lavorativa.
Invece, il profitto è ciò che l’imprenditore ottiene dal suo investimento. L’investimento si compone della spesa per i mezzi di produzione, materia prima e lavoro, il profitto allora è il valore eccedente che viene restituito all’imprenditore in aggiunta al capitale investito.
Quindi, dal punto di vista dell’imprenditore, il valore della merce è il costo sostenuto per produrla. Dal punto di vista del lavoratore, alla composizione del valore della merce partecipa anche la quota di lavoro non pagato.
Il profitto (o interesse) lo si ottiene semplicemente vendendo la merce ad un prezzo superiore al suo costo. Per il capitalista, il plusvalore è come se non ci fosse.
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