Il tema della disoccupazione è molto complesso perché tiene conto di innumerevoli fattori difficili da controllare simultaneamente.

Esiste però un principio che può mettere d’accordo tutti: “c’è domanda di lavoro finché c’è domanda per beni e servizi”. In parole semplici: “se non ci sono acquirenti, non ci sono venditori, e se non ci sono venditori, non c’è lavoro”.

Disoccupazione - Episodio 9 "Principi di Economia"

Ragionare in termini aggregati

Ma facciamo un passo alla volta. Per capire le implicazioni di questa affermazione, bisogna ragionare in termini aggregati per quanto riguarda reddito, spese e produzione, cioè in riferimento al valore totale di ognuno considerando tutti gli individui.

Se per semplicità diciamo che 

ciò che è speso dai compratori è uguale a ciò che è ricavato dai venditori

allora possiamo dire che 

il valore speso in capitale per le imprese è uguale al valore della spesa per consumi delle famiglie.

Aggiungiamo adesso un pezzettino. Le famiglie in realtà non spendono tutto, ma tendono a mettere da parte qualcosa, cioè creano un risparmioLo stesso deve valere per l’impresa per far tornare l’equivalenza. Quello che dal lato delle famiglie chiamiamo risparmio, dal lato delle imprese chiamiamo investimentoNe deduciamo logicamente che risparmio delle famiglie è uguale a investimento per le imprese.

Si potrebbero aggiungere altre variabili come l’abbassamento dei tassi di interesse per promuovere gli investimenti, la tassazione da parte dello Stato, ma esse non cambiano il fatto che se le famiglie consumano meno, le vendite delle imprese si riduconoLa conseguenza più naturale è che un minore consumo, che equivale a un maggiore risparmio, induce una riduzione del reddito cui segue una maggiore disoccupazione causata dalla riduzione di produzione.

disoccupazione

Disoccupazione: livello dei salari

Un’altra variabile che si può considerare è il livello dei salari. Qualcuno potrebbe pensare che ridurre i salari dia la possibilità alle imprese di assumere di più. In realtà questa è un’affermazione limitata che non tiene conto delle conseguenze. Se i salari diminuiscono, si abbasseranno i costi per le imprese, quindi la legge della concorrenza costringe ad abbassare i prezzi. Questo implica che non si ha più il margine di profitto aggiuntivo per cui giustificare un’ulteriore assunzione. Ne consegue che non ci saranno effetti sull’occupazione.

Consideriamo un’altra condizione. Se la riduzione dei salari permette di assumere di più e quindi di aumentare la produzione, allora c’è la possibilità che il reddito delle famiglie aumenti. Ma se le famiglie decideranno di risparmiare, l’aumento degli acquisti sarà inferiore all’aumento di produzione, quindi alcuni beni rimarranno invenduti. Allora, quei lavoratori aggiuntivi in realtà non saranno impiegati.

Un effetto positivo potrebbe venire dal fatto che la riduzione dei salari sia compensata da investimenti, cioè maggiore spesa delle imprese, che produrrà una diminuzione della disoccupazione. La riduzione dei salari con riduzione dei prezzi dei beni prodotti potrebbe avere effetti positivi perché dà maggiore competitività in campo internazionale, aumentando le esportazioni.

Quello che succede è che potrebbe ridurre la disoccupazione in quel paese, ma ad un paese che esporta ne corrisponde un che importa, cioè che non produce. Questo ha come conseguenza solo una “esportazione della disoccupazione” da un paese a un altro.

Conclusioni

Questo esempio mi sembra abbastanza calzante con la situazione italiana, in cui si preferisce importare beni a basso costo da altri paesi piuttosto che provare a investire internamente per aumentare la domanda aggregata interna. A conferma che un aumento degli investimenti, in modo oculato ed efficiente, può ridurre la disoccupazione.

In conclusione, il livello dei salari influisce relativamente sulla disoccupazione, ma non è la misura adatta per risolvere il problema. Il punto cruciale rimane quello già citato: non ci sono vendite senza acquisti, per cui non c’è produzione senza vendite, e quindi non c’è più lavoro.

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