Politiche di bilancio e PIL: come influenzano le scelte dello Stato?
Ricollegandoci all’articolo precedente, cioè che la flessibilità dei salari non dà nessuna spinta per ridurre la disoccupazione, ci si chiede se le politiche macroeconomiche del governo possano essere utili. Quello su cui si inizierà a dare uno sguardo sono le politiche di bilancio (per le quali ogni stato europeo ogni anno deve emettere un Legge di bilancio).
Politiche di bilancio e PIL
Detto in modo semplificato, la politica di bilancio deve valutare l’aggregato di spesa pubblica ed entrate per mezzo della tassazione. In questa fase entra in gioco il famoso parametro del 3%: la differenza tra spese e tasse totali non deve superare il 3% del PIL. Questo vuol dire che più il PIL è alto, più è possibile fare spesa pubblica.
In realtà fissare questo parametro è abbastanza complicato perché i risultati delle decisioni della politica sono estremamente influenzati dal settore privato per la logica del libero mercato. Quindi al più si possono fare delle previsioni, con affidabilità discutibile, e provare a creare delle condizioni per la realizzazione di determinati obiettivi.
In particolare si può agire sulla tassazione o su investimenti per infrastrutture pubbliche. La tassazione influisce sul reddito delle famiglie e quindi potenzialmente sulla domanda aggregata. Le infrastrutture giocano un ruolo diretto sull’occupazione.
Una domanda potrebbe essere: quali infrastrutture bisogna fare? La risposta dipende quasi totalmente dalla politica, che deve essere in grado di capire quali sono le opere necessarie al paese, quali professioni si possono impegnare o eventualmente creare.
Sostenibilità del debito pubblico
Uno dei fastidi delle politiche di bilancio è la sostenibilità del debito pubblico. Quando si crea disavanzo, cioè quando le spese sono maggiori delle entrate, è necessario che lo Stato si finanzi prendendo del denaro in prestito.
Questo viene fatto vendendo dei titoli di Stato, cioè obbligazioni, presso il settore privato, come ad esempio banche o assicurazioni. È molto frequente che, per ripagare il prestito precedente, lo Stato debba richiedere ulteriori prestiti, e questo fa fisiologicamente aumentare il debito pubblico.
Se si è in condizione di crescita economica, l’aumento di debito pubblico diventa accettabile in quanto si presuppone che con la crescita ci sia più occupazione e quindi maggiori entrate fiscali per lo Stato. Se al contrario non si è in crescita economica, il problema non si può più sottovalutare. L’indice del PIL diventa di riferimento anche in questo senso. Se il PIL non cresce con un passo adeguato in rapporto all’aumento del debito pubblico, lo Stato potrebbe avere serie difficoltà a ripagare i suoi debiti, ed è chiaro che si va verso una crisi economica.
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Riflettiamo
Come potete constatare, le dinamiche economiche risultano molto complesse e di non facile analisi. Il modello è composto da un numero talmente elevato di variabili che difficilmente si può sottoporre al controllo umano. Per questo è quasi impossibile prevedere il suo comportamento e adattare le nostre scelte di conseguenza. Ma a questo punto possiamo permetterci di fare una riflessione.
Siamo sicuri che l’aumento del PIL, sul quale si basa l’attuale modello di sostenibilità economica, sia l’unico fattore da considerare per valutare il benessere degli esseri umani? Abbiamo visto che affinché il PIL aumenti, devono esserci compratori: la gente deve spendere. Ma se le persone non volessero comprare, se le persone non avessero bisogno di più di quello che hanno, perché vengono indirettamente costrette a farlo?
Nessuno vi dirà mai “spendi tutto il tuo stipendio, altrimenti perderai il lavoro!”, ma quando i media ci ripetono continuamente che c’è stato un calo dei consumi con una riduzione del PIL del 2%, ci stanno indirettamente dicendo che dovremmo iniziare a preoccuparci del fatto che potremmo perdere il nostro reddito.
Questo aspetto ha impatti sociali devastanti: le persone non sono più libere. Il messaggio che riceviamo è quello che saremo liberi solo se compriamo, quindi ci invogliano a farlo con pubblicità, investimenti redditizi o acquisti inutili.
E le persone indottrinate in questo senso diventano schiave del loro reddito e del loro potere d’acquisto, perché vedono un aumento del loro reddito come l’unico mezzo per esprimere la propria libertà e personalità. Si diventa allora ipercompetitivi, perché non a tutti è concesso un posto nella fascia di reddito medio alta. Si instaura una guerra orizzontale all’interno della popolazione. Una guerra verso il potere d’acquisto.
Ridiscutere il modello economico
Questa è solo una provocazione per dire che è necessario mettere in discussione questo modello economico, perché è chiaro che non è la soluzione per raggiungere la vera realizzazione degli esseri umani. Molti penseranno che è impossibile applicare un’alternativa. Ma scontrocorrente esiste proprio per questo. Il mio invito è quello di scontrarvi con tutto ciò che si assume come “normale” e che si ritiene ingiusto: la storia ci insegna che nulla è inconfutabile.
La serie di articoli relativi ai principi di economia giunge al termine. Se siete interessati all’intera trattazione, vi consiglio di ricominciare dall’inizio per avere una maggiore comprensione. Qui invece troverete tutti gli articoli in cui abbiamo parlato di quest’ opera.
Se siete interessati ad approfondire aspetti economici da diversi punti di vista, in questo sito abbiamo scritto riguardo Il capitale di Karl Marx, Economia senza gioia di Tibor Scitovsky e introdotto alcuni aspetti del marginalismo.
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