L’etichettamento sociale identifica il ruolo del contesto sociale nel processo di interpretazione di azioni e comportamenti manifesti.

La domanda a cui cercheremo di rispondere in questo articolo è: se tutto ciò che viene espresso in modo visibile è soggetto al giudizio delle persone che lo osservano, quanto questo giudizio influenza la persona stessa? L’etichettamento sociale distingue la differenza tra normalità e devianza, spiega gli effetti di questa distinzione e quali misure vengono applicate ai soggetti etichettati come devianti.

Scopriamolo insieme.

Se un ragazzo buttasse giù un cartello della segnaletica stradale, potrebbe essere giudicato come pazzo o deviato. Altri direbbero: ”Ma è normale?!”. 

Nonostante questi tre vocaboli sembrano esprimere il medesimo significato, in realtà non è così. Infatti, deviare ed essere anormale esprimono una non aderenza ad una norma specifica, a quella “strada” che è definita a priori come quella giusta da percorrere.

Essere “pazzi”, nell’accezione patologica del termine, significa aver un disturbo psicologico o neurale che inficia la capacità di giudizio. 

Quindi, ne deriva che “pazzi” e deviati vengono trattati in modo diverso. Ovvero, i “pazzi” vengono curati con strumenti appositi (ad esempio psicofarmaci), mentre i deviati vengono introdotti in delle strutture (quali i carceri) in cui imparare le norme del vivere insieme.

Lasciando da parte la questione patologica, che è più spinosa, concentriamoci su quella della devianza.

Chi è che decide che quel comportamento è deviante? Gli stessi che hanno deciso cosa fosse giusto o meno fare. Quindi è altrettanto corretto parlare di “deviato”?

etichettamento sociale

A porsi queste domande furono i teorici dell’etichettamento sociale: i neochicagoans

Una delle domande a cui cercarono di rispondere in misura maggiore fu: perché ci sono alcune persone che vengono stigmatizzate più di altre?

Secondo Becker, non tutti i membri di una comunità aderiscono alle norme di quel contesto. Questi soggetti vengono definiti dalla collettività come devianti. Infatti, essi portano avanti un processo di razionalizzazione o di neutralizzazione che gli permette di agire secondo regole diverse da quelle convenzionali. Quindi “deviante” non è né il soggetto né l’azione in sé. La devianza sarebbe l’applicazione di regole e sanzioni applicate da altri “al trasgressore”.

Invece, secondo Matza, tutti i membri facenti parte di una comunità sono portati a seguire i valori dominanti e attraverso le tecniche di neutralizzazione vengono momentaneamente sospesi. Quindi, ci si dà spazio di libertà per compiere l’azione deviante.

Tutto ciò spiegherebbe i fenomeni di devianza occasionale (devianza primaria). La ripetizione di questi atti occasionali porterebbe all’insorgenza della devianza secondaria mediante l’etichettamento sociale.

Infine, Lemert si soffermerà sul perché il comportamento deviante si stabilizzi nel tempo. Egli teorizza il fatto che la persona che mette in atto un comportamento deviante in modo occasionale sottostimi il potere del contesto. Allora, una volta che il contesto sociale avrebbe identificato tale azione, la personalità si predispone ad avverare quella profezia. Fino ad arrivare ad identificarsi con quel giudizio.

Matza applicherà tale studio in relazione al carcere. L’esperienza carceraria aumenterebbe la percezione dell’identità deviante rispetto a tutti gli altri aspetti identitari della persona.

Quindi, si tende ad etichettare la persona come un carcerato che ha commesso qualcosa per cui deve essere punito. Tutto il resto non ha più valore, non esiste nient’altro se non questo unico aspetto della vita.

Quindi, l’esperienza detentiva andrebbe ad amplificare l’identità negativa.

Un altro elemento innovativo è nella tolleranza rispetto ai giovani che mettono in atto comportamenti devianti. Data la fragilità del periodo biologico e sociale in cui si trovano gli adolescenti, si è pensato di valutare diversamente i reati commessi. 

In particolare, nel caso di reato lieve e occasionale, si procede con la sentenza di non luogo per irrilevanza di fatto.

Quindi ciò che si fa è optare per sistemi educativi piuttosto che come punitivi. Una detenzione punitiva non farebbe altro che consolidare l’identità del deviante. Quindi il rischio sarebbe di trovarsi in una situazione peggiore dopo il rilascio.