Il senso di comunità può essere facilmente confondibile con il più noto “senso di appartenenza”.
In realtà non sono esattamente la stessa cosa, e cercheremo di spiegarlo in questo articolo.
Riprendiamo brevemente la definizione di comunità: essa è “un insieme di soggetti che condividono aspetti significativi della propria esistenza e che quindi sono in un rapporto di interdipendenza” (Psicologia di comunità – Franco Angeli).
Quindi, la condivisione della propria esistenza risulta in un senso di appartenenza a qualcosa di comune, oltre che alla condivisione di simboli e relazioni.
Allora, il senso di comunità, secondo l’idea della psicologia di comunità Seymour Sarason, è “la percezione di somiglianza con gli altri, una riconosciuta interdipendenza con gli altri, la volontà di mantenere questa interdipendenza…”.
Dunque, far parte di una comunità influenza molti aspetti della nostra vita. La comunità è un qualcosa di più dell’ambiente in cui viviamo. Infatti, è un posto “metafisico” (cioè stabile e assoluto) che si inserisce nello sviluppo di noi stessi fin dal momento in cui nasciamo.
Essa plasma i nostri giudizi e pensieri, i comportamenti, le relazioni, le nostre valutazioni e la percezione del futuro. Tutti i membri di una comunità sono accomunati dagli stessi significati condivisi, dalla stessa storia, dagli stessi bisogni.
In questo articolo cercheremo di comprendere come il senso di comunità, il legame, si formi tra i vari membri e cosa accade quando questo è negativo.

McMillan e Chavis proposero nel 1986 un modello ancora oggi utilizzato per rilevare le dimensioni del senso di comunità. Essi identificarono 4 aree fondamentali: appartenenza, influenza, integrazione e soddisfazione dei bisogni, connessione emotiva condivisa.
L’appartenenza è un sentimento derivante dal far parte della comunità. Infatti, essa si basa su cinque dimensioni: confini, sicurezza emotiva, senso di appartenenza, identificazione, coinvolgimento personale e un sistema di simboli comuni (es. linguaggio, musica, miti etc.).
L’influenza viene esercitata dalla comunità sui membri, e viceversa. Quindi gli individui influenzano la comunità, e viceversa, la comunità influenza gli individui.
L’integrazione e soddisfazione dei bisogni stabiliscono la consapevolezza di non essere soli e che i propri bisogni verranno soddisfatti grazie alla comunità. Questo porterebbe i membri ad essere motivati nel mantenere saldi i rapporti di comunità.
La connessione emotiva condivisa si fonda su una storia condivisa costruita nel tempo.
Esistono dei fattori che possono incidere sul senso di comunità che avvertiamo? E quindi la presenza di fattori che possono farci legare di più o meno alla comunità?
Alcuni studiosi hanno rilevato una correlazione con alcune caratteristiche demografiche, per esempio, all’aumentare dell’età aumenta anche il senso di comunità. Inoltre, anche la condivisione di valori potrebbe far bene al senso di comunità.
Ad esempio, valori post materialisti (quali la libertà, autoespressione, la flessibilità, il tempo libero), ma anche i valori tradizionali (quali famiglia, lavoro, potere etc.). Insieme ad essi si aggiunge anche: la minore densità abitativa e le caratteristiche del contesto.
Nowell e Boyd hanno teorizzato che il senso di comunità possa essere interpretato anche attraverso la teoria dei bisogni di McClelland.
La teoria dei bisogni include: il bisogno di affiliazione, di potere e di realizzazione personale. Infatti, secondo tale teoria, questi sarebbero i tre bisogni fondamentali comuni a tutti.
Allora, applicando questa teoria a quella del senso di comunità otteniamo delle correlazioni tra gli elementi caratteristici e i bisogni fondamentali.
Ad esempio, il bisogno di affiliazione viene soddisfatto dall’Appartenenza e alla Connessione Emotiva Condivisa.
Oppure, il bisogno di potere, ovvero di esercitare un controllo sugli altri, è soddisfatto dall’Influenza.
Infine il bisogno di realizzazione personale trova sfogo nell’Integrazione e soddisfazione dei bisogni.
Non tutte le comunità sono accoglienti e positive per i loro membri. Infatti, Anne Brodsky teorizzò il possibile sviluppo di un senso di comunità negativo. In sostanza, la psicologa ha dedotto dagli elementi caratteristici del senso di comunità la loro versione negativa. Dunque, si parla rispettivamente di: distintività (vs. senso di appartenenza), astensione (vs. influenza), frustrazione (vs. soddisfazione dei bisogni) e alienazione (vs. connessione emotiva condivisa).
Con distintività intendiamo quel processo che porterebbe i membri ad esaltare le caratteristiche peculiari e sminuire quelle comuni.
Invece, con astensione intendiamo quell’atteggiamento di rifiuto verso l’influenza che la comunità può agire e viceversa.
Il rifiuto della soddisfazione dei bisogni propri e altrui prende il nome di frustrazione.
Infine, l’alienazione consiste nel descrivere un senso di estraneità rispetto al vissuto comune.
Allora, il senso di comunità negativo può dare luogo a comportamenti diversificati. Infatti, le persone possono adottare un comportamento indifferente o apatico rispetto all’ambiente esterno, considerato negativo. Oppure, si può innescare in loro un movimento di cambiamento dell’ambiente.
Ma se tutti avessero uno spiccato senso di comunità come faremmo a convivere pacificamente senza conflitti per stabilire la “comunità migliore”? Attraverso quello che viene definito Senso di Comunità Globale.
Esso è quello che va al di là dei confini geografici e che lega tutti. Allora, le dimensioni di McMillan e Chavis spariscono. Quindi, al loro posto subentra l’adesione ad un’unica missione fondamentale: la lotta ai diritti inalienabili che stabilisce l’uguaglianza tra tutte le persone.