L'esclusione sociale è una vera e propria arma per creare sofferenza psicologica.
L’esperienza della pandemia ha generato in ognuno di noi una nuova consapevolezza: la differenza tra l’inclusione e l’esclusione sociale. L’esperienza dell’isolamento ci ha fatto toccare con mano quanto sia importante essere circondati da persone e quanto la loro assenza può creare sofferenza psicologica. In questo articolo vedremo nel dettaglio cosa significa inclusione ed esclusione sociale, quali sono le dinamiche sociali legate all’esclusione e infine vedremo alcune differenze tra diverse prospettive teoriche.
Il bisogno di appartenenza
Uno degli elementi caratterizzanti di tutti gli esseri umani è il bisogno di appartenenza. Infatti, dalla piramide dei bisogni di Maslow si vede che alla base ci sono i bisogni fisiologici e di sicurezza che possono essere soddisfatti solo avendo relazioni con gli altri. L’etimologia della parola appartenere si riferisce al significato “essere una cosa proprietà legittima di qualcuno”: chiaramente non si fa riferimento ad una proprietà materiale, ma si fa riferimento ad un legame estremamente profondo. Dunque, è fondamentale per gli individui sentirsi parte di qualcosa.
Solitudine ed isolamento sociale
Nella nostra società, il bisogno di appartenenza tende a conciliarsi con la volontà di passare del tempo da soli. Infatti, nella solitudine si possono scoprire alcuni vantaggi, come lo “scoprire chi si è”, “meditare e riflettere”, “lavorare sulla propria autostima” o “proteggersi da ciò che dicono o pensano gli altri” (Pedersen, 1999). Esiste, però, un equilibrio precario tra il bisogno di stare con gli altri e quello di stare da soli, ed è molto facile cadere in situazioni di sofferenza.
Allora, possiamo individuare due tipi di sofferenza psicologica legati alla solitudine:
- La solitudine emotiva, la quale si presenta quando manca una relazione a lungo termine e significativa con un’altra persona;
- La solitudine sociale, che si verifica quando una persona viene esclusa dalla propria rete di amici e conoscenti.
In entrambi i casi si verificano effetti negativi come tristezza, depressione, impotenza e autocommiserazione. Infatti, alcune ricerche hanno dimostrato che le persone che appartengono a gruppi sono più sane e felici rispetto a quelle più solitarie (Harlow & Cantor, 1996).
L’altro lato della medaglia è che non tutti i gruppi sono in grado di alleviare i sentimenti negativi di solitudine: molto spesso si dice che “ci si sente soli in mezzo agli altri”. Questo è il caso degli aggregati transitori dove non si verifica un vero e proprio scambio emotivo. Allora, è necessario che le persone si sentano collegate in modo intimo e significativo per alleviare i sentimenti di solitudine. Avere molte relazioni superficiali è molto meno soddisfacente rispetto ad avere poche relazioni di alta qualità.

Esclusione sociale forzata: l'ostracismo
Dato che i gruppi soddisfano i bisogni primari degli individui, usare delle strategie per escludere socialmente una persona è un po’ come farla morire di sete. Infatti, gli antichi Greci usavano l’ostracismo (quindi esilio forzato) per punire i membri di una comunità. Quindi, ostracismo significa “essere deliberatamente ignorati ed esclusi dagli altri” e può avere un forte impatto psicologico. Le forme contemporanee di ostracismo vanno dal rifiuto formale di un membro fino a tattiche interpersonali e indirette come il silenzio o la freddezza.
Può capitare anche che non ci sia una esclusione formalmente deliberata, ma il gruppo può concordarsi in separata sede per mettere “fuori dal giro” la persona da escludere.
Reazioni all’esclusione sociale
L’esclusione sociale e l’ostracismo hanno sempre effetti negativi sulle persone che le subiscono. In particolare, si possono evidenziare due tipi di reazione.
Reazione attacco-fuga
Nel caso della reazione attacco-fuga, alcune persone lottano per rientrare nel gruppo mentre altre cercano di soddisfare il bisogno di appartenenza altrove. L’attacco può manifestarsi tramite confronti diretti col gruppo, tentare di rientrarci con l’uso della forza o usare forme di disprezzo verso chi ha escluso. Inoltre, gli esclusi possono diventare meno disponibili, più competitivi e, nei casi più estremi, elaborare strategie per nuocere al gruppo.
Nei casi della fuga, gli esclusi si rifugiano nell’asocialità o si muovono verso nuovi gruppi.
Reazione tend-and-befriend
In questo caso, gli esclusi subiscono una spinta conformista e fanno di tutti per farsi accettare dal gruppo. Infatti, essi sono più sensibili ai segnali sociali e tendono ad essere più amichevoli, cercano di farsi notare e lavorano duramente per ricevere considerazione dal gruppo da cui sono stati esclusi. In particolare, le donne tendono ad assumere questa reazione: tendono ad incolpare sé stesse per l’esclusione, con un abbassamento considerevole della propria autostima.
Istinto del branco
Nel 1908, lo psicologo William McDougall sosteneva che “gli esseri umani sono inesorabilmente attratti dal vasto branco umano, che esercita un’attrazione nefasta su coloro che ne sono fuori”. Insieme alla teoria evolutiva di Charles Darwin, questo enunciato definisce chiaramente che il bisogno di appartenenza è un istinto primordiale e arcaico, che oggi si è evoluto e si manifesta in forme “moderne” (o sublimate, come direbbe Freud).
Infatti, nel corso della storia, l’essere umano ha sviluppato delle caratteristiche “adattive” che fossero in grado di soddisfare l’istinto di sopravvivenza. Alcune di queste caratteristiche sono: la capacità di introspezione, di leggere l’emozione nei volti degli altri e di considerare quale evento futuro potrebbe diventare più probabile se una specifica azione fosse intrapresa. Tutte queste capacità concorrono alla selezione naturale.
Il branco ha permesso di cacciare grandi animali per procacciarsi il cibo oppure di sopraffare un gruppo meno numeroso. Al contrario, il branco comportava dei costi, ovvero attirare maggiormente l’attenzione rispetto al singolo, l’obbligo di dover condividere i frutti del raccolto, una maggiore esposizione alle malattie fino alla generazione di conflitti e violenza.
Prospettive teoriche
L’importanza dell’inclusione e le minacce dell’esclusione sociale vengono spiegate da diverse prospettive teoriche. Vediamone alcune.
Teoria sociometrica
La teoria sociometrica considera l’autostima come un “indicatore psicologico che controlla il grado in cui le persone percepiscono di essere apprezzate dagli altri” (Leary, 2017). Infatti, l’evoluzione favorirebbe in modo particolare coloro che sono particolarmente sensibili ai segnali di esclusione sociale. Allora, l’autostima funge da socio-metro, ovvero un adattamento cognitivo che controlli il grado di accettazione da parte degli altri. Quindi, quando le persone hanno bassa autostima tendono a lavorare sugli aspetti personali che li hanno messi a rischio di esclusione sociale.
Teoria biologica
Molte ricerche testimoniano che l’esclusione sociale provoca reazioni biologiche nell’organismo degli esseri umani. Infatti, l’inclusione sociale provoca diminuzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, aumento dei livelli di neuropeptide e ormone ossitocina (il famoso “ormone dell’amore”).
Inoltre, è stato anche evidenziato che il dolore provocato dall’esclusione sociale attiva le stesse aree del cervello del dolore fisico (Eisenberg, Lieberman & Williams, 2003). L’associazione tra dolore fisico e sociale spiega perché gli individui maggiormente sensibili al dolore hanno più probabilità di rispondere negativamente al rifiuto sociale.
Fonte dell'articolo
Questo articolo è tratto dal libro “Psicologia dei gruppi” di Donelson R. Forsyth.
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